«Così salvo il nostro dialetto» –  intervista ad Antonio Guidetti su Il Resto del Carlino

«I miei 45 anni di risate in dialetto» – intervista ad Antonio Guidetti su Il Resto del Carlino

L’istrionico Antonio Guidetti: “Con gli spettacoli credo di aver contribuito alla salvaguardia della lingua locale”

Una carriera nel teatro dialettale che dura da 45 anni. Per Antonio Guidetti, attore e autore reggiano, si preparano serate di festeggiamento, ovviamente sul palcoscenico. Stasera al teatro Artigiano di Massenzatico con la commedia ’Se negh pinseva mia me’, il 5 novembre al cinema teatro Rosebud di via Medaglie d’oro della Resistenza a Reggio, con ’Mo che angel’, per poi proseguire il tour a Crevalcore di Bologna, al Multisala Novecento di Cavriago, al teatro di Cadelbosco Sopra, al Ruggeri di Guastalla, a Maranello, Nonandola, Modena, fino al galà di San Silvestro, con un doppio show, il 31 dicembre, ancora al Novecento di Cavriago, con la nuova commedia ’Statemi lontano per piacere’.

Antonio Guidetti, tutto comincia alla fine del 1979, all’ex Caserma Zucchi a Reggio…

“Quella era la data ufficiale, il 7 dicembre 1979. Ma già in precedenza avevo fatto qualcosina con alcuni amici, partendo da un forno a Rubiera. Ho iniziato come raccontatore di barzellette, che abbiamo poi messo in scena. E da lì è nata la passione per questa arte, con la scuola di teatro dal 1980”.

Il teatro per lei è stata una passione più che un lavoro…

“Be’, io ho sempre avuto una professione diversa. Ho cominciato come tinteggiatore, facevo l’imbianchino. Poi, con mio fratello, abbiamo iniziato a lavorare nell’allestimento degli addobbi pubblicitari stradali. Con un furgone si girava fra il Triveneto e le Marche. Non avevano però competenze sulla zona più comoda per noi, ovvero l’Emilia”.

Quante commedie ha scritto?

“Tra commedie e farse sono oltre centoquaranta. Sono iscritto alla Siae dal 1980. Ma devo dire che questi anni sono volati via. Sono stati anni di grande soddisfazione, perché a fare spettacoli mi sono sempre divertito”.

Crede di aver dato un contributo alla salvaguardia del dialetto reggiano con i suoi spettacoli?

“Penso di sì. Dicono che il dialetto sia una lingua morta. Secondo me no. Ma è ferita gravemente. Perché è legata a una cultura contadina che ormai non esiste più. Ma io la considero viva, espressiva. Con il dialetto si è in grado di esprimere sentimenti, stati d’animo in modo più netto e chiaro. Ricordo quando i miei genitori litigavano in casa: cominciavano a discutere in italiano, ma quando il confronto si faceva più animato, ecco che si passava al dialetto. Con le parole nella lingua locale ci si intendeva meglio…”.

Ma in teatro il dialetto è considerato?

“Si, ma come teatro di serie B. Ma è anche colpa di chi lo propone. Allestire spettacoli senza curare la parte artistica è un grave errore. Quando si coinvolge il pubblico, oltretutto pagante, occorre mostrare molto rispetto. Non è sufficiente che gli attori si presentino sul palco recitando in dialetto. Lo devono fare in modo professionale, preparati bene. La rappresentazione deve essere costruita nel miglior modo possibile, indipendentemente se si recita in italiano, in inglese, in francese o in dialetto. Occorre curare i particolari, non sottovalutare la preparazione”.

Ma i giovani si avvicinano al teatro dialettale?

“Qualche giovane c’è. Ci sono compagnie, come la Fnil Bus Theater, che cerca di lavorare molto con i giovani. Ma è il tipo di linguaggio che fatica a coinvolgere i ragazzi. Il teatro è una forma di espressione che usa un linguaggio comprensibile a tutti. E il dialetto, non facendo parte della cultura delle nuove generazioni, non attecchisce tra i giovani. Spesso arrivano con diffidenza a teatro, magari con i loro genitori. Poi, però, si rendono conto che ci si diverte”.

Tra le sue tante commedie, ce n’è una a cui è particolarmente legato?

“C’è Adelmo Adelmo, con molti personaggi, con la storia che si svolge in ospedale, perché è nata in ospedale. Ero ricoverato per problemi di salute e in corsia è nata questa commedia divertente e molto bella. Ci sono tanti personaggi ed è complicato portarla in giro in scena. E poi l’altra, Mario, l’Olga e le rotonde, che ho recitato con Mauro Incerti”.

C’è un sogno nel cassetto con cui vorrebbe arrivare ai 50 anni di carriera?

“Cercare sempre di proporre cose nuove, di attualità. La gente pensa spesso che il dialetto sia un linguaggio antico. Ma non è così”.

Intervista di ANTONIO LECCI
Link alla fonte https://www.ilrestodelcarlino.it/reggio-emilia/cronaca/i-miei-45-anni-di-risate-in-dialetto-a6ae42aa